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LA REPRESSIONE PENALE DEL FENOMENO DOPING: elementi generali. La legge n. 376 del 2000 ha provveduto a disciplinare in dettaglio la protezione medica delle attività sportive e del contrasto al fenomeno del doping.

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Secondo la concezione inclusa nella medesima norma, si configura un episodio di doping in caso di fornitura o consumo di medicinali o sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, e anche l’attuazione o la sottomissione a trattamenti medici non motivati da uno stato di malattia, utili alla variazione dello stato psicofisico o biologico del corpo allo scopo di modificare le performance agonistiche degli atleti, cui sono assimilati la fornitura di medicinali o sostanze, o l’applicazioni di trattamenti medici che possono variare il contenuto degli accertamenti connessi al consumo di medicinali dopanti.

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In base all’art. 9 della legge chi fornisce ad altri, elargisce, assume o incoraggia comunque il consumo di medicinali o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, facenti parte delle categorie indicate dall’art. 2, comma 1, che non siano motivati da uno stato di malattia e possano variare lo stato psicofisico o biologico del corpo, allo scopo di variare le performance agonistiche degli atleti, o siano tesi alla modifica degli esiti degli accertamenti sul consumo dei suddetti medicinali o sostanze, nonché chi assume o segue i trattamenti medici inclusi nelle categorie stabilite dall’art. 2, comma 1, non motivate da uno stato di malattia e adatte alla modifica dello stato psicofisico o biologico del corpo, allo scopo di modificare le performance agonistiche degli atleti ovvero tese alla modifica degli esiti degli accertamenti sull’uso di questi trattamenti”. Soggetto attivo della fattispecie di reato può essere qualunque soggetto.

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La fase in cui si configura va individuata nell’esecuzione dell’azione, non avendo rilevanza la concreta variazione della performance agonistica (trattasi difatti di illecito a dolo specifico).

L’episodio è inasprito: se dal fatto consegue una lesione per la salute; se il fatto è eseguito nei confronti di un soggetto minore; se il fatto è compiuto da un membro o da un dipendente CONI o di una federazione sportiva nazionale, di una società, di un’organizzazione o di un ente riconosciuti dal CONI.

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E’ uno strumento di confutazione ordinario, di natura devolutiva, con cui la parte richiede la variazione di una misura giurisdizionale, con l’emissione di una nuova pronuncia.

L’appello non è ammissibile contro tutti i verdetti, come è invece stabilito per il ricorso in Cassazione (art. 111 Cost.).

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Dopo l’entrata in vigore della Legge 46 del 20.2.2006 (c.d. Legge Pecorella), è stata invero affermata la non appellabilità dei verdetti di assoluzione. L’art. 593 co. 1 c.p.p., (“Casi di appello”), così come emendato dalla suddetta normativa, presume dunque che il soggetto incriminato e il PM, eccetto in alcuni casi, possono avanzare appello soltanto contro i verdetti di sanzione.

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L’appello non è pertanto autorizzato contro i verdetti di assoluzione, eccetto i casi in cui vi é il rinnovamento dell’istruzione dell’udienza in base all’art. 603 co. 2 c.p.p., e sempre che i nuovi elementi probatori, sopraggiunti o rinvenuti, siano risolutivi (art. 593 co. 2 c.p.p.).

Lo stesso articolo presume poi la non appellabilità dei verdetti di condanna i quali avevano disposto la condanna al pagamento di una multa.

Sono poi inoppugnabili: - i verdetti di non luogo a procedere emanate in fase di udienza preliminare, per cui l’art. 428 c.p.p.

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dispone il provvedimento del ricorso in cassazione;

- i verdetti di assoluzione emanati prima dell’udienza quando non vi è obiezione del PM e del soggetto incriminato (art. 469 c.p.p.); - i verdetti emanati dopo patteggiamento;
- i verdetti di assoluzione emessi dal Giudice di Pace.

Le parti: le persone che possono avanzare appello contro i capi penali del verdetto sono il PM e il soggetto incriminato. Ma in quest’ultimo caso vige l’interdizione della reformatio in pejus. L’organo giudiziario dunque potrà deliberare solo a beneficio del soggetto accusato o, in assenza, semplicemente avvalorare la pronuncia di primo grado.

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La conoscenza del giudice di appello: Con l’enunciazione dell’appello si conferisce al magistrato competente “la conoscenza dell’iter soltanto nei punti della deliberazione a cui si connettono le motivazioni avanzate” (art. 597 c.p.p.).

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A questo proposito si deve discernere a seconda che ad avanzare il ricorso sia il PM o il soggetto incriminato. Quando a farlo è il PM, invero, l’art. 597 co. 2 c.p.p., dispone che: “se l’appello concerne un verdetto di sanzione, l’organo giudiziario può entro i margini dell’autorità del magistrato di primo grado, conferire al fatto una determinazione giuridica più pesante, variare la tipologia o incrementare la quantità della misura penale, cancellare benefici, attuare ove necessario, provvedimenti di sicurezza e applicare ogni altra misura prevista o autorizzata dalla normativa;

se l’appello concerne un verdetto di assoluzione, l’organo giudiziario può emettere misura sanzionatoria ed emanare le misure previste dalla lettera a), ovvero assolvere per una causa differente da quella emessa nel verdetto di condanna; se convalida il verdetto di primo grado, il magistrato può adottare, variare o estromettere, nei casi previsti dalla normativa, le sanzioni complementari e i provvedimenti di sicurezza”.

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Quando a presentare appello è il soggetto incriminato, l’art. 597 co. 2 c.p.p., in osservanza all’interdizione di reformatio in pejus, presume che “l’organo giudiziario non può irrogare una misura penale più grave per tipologia o quantitativo, adottare un provvedimento di sicurezza inedito o più pesante, assolvere l’accusato per una causa meno vantaggiosa di quella emessa nel verdetto oggetto di appello né cancellare benefici”.

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Il giudice dell’obbligo può poi assegnare al fatto una designazione giuridica più pesante, purché non sia oltrepassata la competenza del magistrato di prime considerazioni (art. 567 u.c. c.p.p). L’appello accessorio:

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La parte che non ha avanzato appello può in ogni caso avanzare appello complementare, purché lo trasmetta entro il termine di quindici giorni “da quello in cui ha avuto la notizia o l’avviso” del ricorso principale (595 co. 1 c.p.p.).

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E’ una specifica tipologia di “rinuncia in termini” per la parte che non ha avanzato subito il ricorso. Tuttavia proprio perché l’appello complementare è avanzato dopo il ricorso di un altro individuo, è soggetto alle condizioni di quest’ultimo e, dunque, se l’appello primario è ritenuto non ammissibile o vi è resa allo stesso, l’appello complementare non ha più validità (595 u.c. c.p.p.).

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L’appello complementare si presenta, espone e comunica in base alla disposizioni degli artt. 581, 582, 583 e 584 c.p.p. che prescrivono i principi generali in tema di ricorsi.

L’organo giudiziario: Per quanto concerne la competenza, essa è in genere del magistrato di grado superiore a quello che ha emanato la disposizione giurisdizionale.

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L’art. 596 c.p.p dispone infatti che per l’appello avanzato contro i verdetti del Tribunale delibera la Cortedi Appello; contro i verdetti della Corte di Assise,la Corte di Assise di Appello;eccetto alcuni casi, contro i verdetti emessi dal G.I.P. deliberano, a seconda che si configurino fattispecie di reato per cui è competente il Tribunale o la Corte di Assise, rispettivamente la Corte di Appello ola Corte di Assise di Appello.

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